AMICIZIE pericolose all'ombra dell'usura e del progetto di un termovalorizzatore. E' ancora tutta da scandagliare la rete di legami e interessi che si celano dietro «Damasco Uno», l'inchiesta-madre sull'infiltrazione di un'organizzazione di stampo mafioso nel tessuto economico e politico della città di Fondi. Ma non è detto che quegli aspetti toccati marginalmente o addirittura ignorati nell'ambito delle investigazioni della Dda non possano ora emergere nel corso del processo che ha preso il via presso il tribunale di Latina davanti al collegio penale presieduto dal giudice Raffaele Toselli e vede imputati Vincenzo Garruzzo e Massimo Anastasio Di Fazio. Sotto questo profilo, il dibattimento, seppure alle prime battute, ha riservato già qualche sorpresa. Quella ad esempio raccontata con una certa dovizia di particolari da Biagio S. (titolare di un’impresa specializzata nel riciclo di materiale plastico), una delle vittime dell'usura che nel corso del controesame del legale di Garruzzo, l'avvocato Giovanni Maria Giaquinto, ha aperto uno spaccato tutto da approfondire ma certo poco rassicurante sui presunti rapporti tra politica e malavita. Quando infatti l'avvocato Giaquinto a chiesto a Sicignano se conosceva il consigliere comunale di maggioranza Maurizio Cima, il teste non ha battuto ciglio e ha risposto: «Certo che lo conosco». Quindi il racconto che ha gelato l'avvocato di Garruzzo. Sicignano infatti ha riferito di avere più volte incontrato Cima in compagnia di zio Vincenzo. In particolare i due gli avrebbero chiesto se lui, in quanto imprenditore del settore, poteva interessarsi alla possibilità di realizzare un termovalorizzatore a Fondi. Da qualche tempo a quella parte, infatti, a Garruzzo era venuto il pallino dei rifiuti, settore con il quale riteneva di poter fare grandi affari. Denaro da investire certo non mancava all'anziano commerciante calabrese. Tanto è vero che, stando sempre alla testimonianza fornita in aula, l'imprenditore avrebbe accompagnato Garruzzo e Cima una volta a Napoli e un'altra ad una fiera di Rimini per vedere cosa fosse e come funzionasse in concreto un inceneritore. Il racconto di Sicignano ovviamente è tutto da verificare e andrebbe fatto pure alla svelta perché se è vero come è vero che del progetto dell'inceneritore non se ne è fatto più niente, è altrettanto indubitabile che la testimonianza dell’ imprenditore pone in ballo questioni tutt'altro che trascurabili. E non è escluso che il sostituto procuratore della Dda di Roma, Gustavo De Marinis possa chiamare a testimoniare l'ex consigliere Cima alla luce di quanto raccontato in aula dall'imprenditore Sicignano. Potrebbe essere lo stesso a spiegare perché un poliziotto prestato alla politica, avrebbe frequentato Garruzzo e sarebbe stato così coinvolto nell'ipotesi di costruire un inceneritore a Fondi. Quale sarebbe stato il suo ruolo in questo progetto? Ma più in generale le domande da farsi sono anche altre: perché mai zio Vincenzo era così convinto che a Fondi si potesse costruire un inceneritore? Qualcuno, per caso, gli aveva dato garazie sull'ottenimento di permessi e quant'altro? L'avvocato di Garruzzo, tirando in ballo il consigliere comunale Cima, voleva evidentemente dimostrare in qualche modo l'onorabilità del proprio assistito, in quanto persona al di là di ogni sospetto tanto da essere frequentata da un rispettato politico nonché esponente delle forze dell'ordine, ma la sua domanda ha sortito un effetto opposto, ponendo di nuovo sotto i riflettori i rapporti tra l'organizzazione di stampo mafioso e la politica. Il cosiddetto «secondo livello» di Damasco che evidentemente è ancora tutto da scrivere.





...scusate ma perchè scrivere delle dichiarazioni di una vittima di estorsione rivelando prima il nome con cognome puntato (rispetto della privacy) e in seguito usare solo il suo cognome?...