Per cominciare i lavori destinati a disinnescare questa bomba chimica ci sono voluti sette anni. Ma il cantiere è stato subito bloccato. L’appalto è stato assegnato dalla Sogesid, la discussa società del ministero dell’Ambiente, a un’associazione temporanea di impresa formata dalla TreErre di Roma e dalla Italrecuperi di Napoli. Un contratto da oltre sei milioni che nonostante protocolli di legalità e controlli serrati è finito nelle mani di due aziende al centro delle cronache. A fermare le ruspe è stata una questione in apparenza burocratica: le analisi realizzate da un laboratorio privato, incaricato dalle ditte vincitrici, non sono conformi agli standard. Ma c’è un problema più profondo, che appare paradossale.
TUTTE LE STRADE PORTANO A ROMA
Il clan dei casalesi ha avvelenato. E la “Mafia Capitale” di Massimo Carminati ripulisce. La TreErre incaricata della bonifica è una creatura di Riccardo Mancini, arrestato nell’operazione che ha smantellato il cupolone romano. Nel 2009 l’allora sindaco Gianni Alemanno ha insediato Mancini, con trascorsi di gioventù mai rinnegati nell’estrema destra romana, al vertice dell’Eur Spa. E come attività privata, il manager pubblico è anche diventato proprietario e presidente della società ecologica. Poi nel 2012 è finito in cella con l’accusa di una tangente da mezzo milione di euro per le forniture di autobus al Campidoglio. E ha lasciato le cariche nella TreErre. Ma nel consiglio di amministrazione ci sono ancora il figlio Giovanni e la fedelissima Emilia Fiorani, «ex moglie - scrivono gli inquirenti - di Carlo Pucci», uno dei protagonisti della Mafia Capitale, anche lui dirigente di Eur. Pucci e Mancini secondo l’accusa erano entrambi «a libro paga» della cosca di Carminati. «Lo vedo oggi, perché alle quattro e mezza va dal ciccione (Mancini, ndr) e da Emilia (Fiorani, ndr) perché devono chiude... la situazione», è una delle telefonate tra il boss nero e Pucci. A Mancini junior i giudici hanno sequestrato alcune quote aziendali, ritenute riconducibili al padre. E pure un altro socio dell’azienda, il commercialista Luigi Lausi, è finito sotto inchiesta come uomo a disposizione de “er Cecato”. Poche settimane prima della retata, al vertice della TreErre è arrivato un nuovo presidente, con un curriculum di prestigio: Chicco Testa, ex leader ambientalista, ex deputato Pci-Pds ed ex presidente di Enel. All’indomani degli arresti Testa ha deciso di lasciare.
Il commissario incaricato di ripulire la Terra dei Fuochi, Mario De Biase, non nasconde l’amarezza: «Ora ripartirà l’iter per la certificazione antimafia e all’esito si deciderà se revocare l’appalto». La stessa procedura verrà avviata per i lavori di pulizia di un’altra cava usata dalla camorra per seppellire rifiuti, quella della Novambiente, distante pochi chilometri dalla Resit: un’altra attività affidata alla TreErre. La prospettiva concreta è che si perderanno molti mesi prima di riprendere la pulizia: c’è il rischio che le gare debbano essere rifatte da zero.
Eppure negli atti predisposti dalla prefettura di Roma sulle verifiche antimafia, aggiornate a ottobre 2013, non c’era nulla sulla vicenda delle mazzette contestate un anno prima a Mancini. «Perché nella liberatoria rilasciata dalla prefettura di Roma non c’era alcun accenno all’inchiesta sulla corruzione in cui è stato coinvolto Mancini?», tuona il presidente della commissione bonifiche regionale Antonio Amato: «Il ministro Alfano chiarisca».
In realtà, il problema sta nella legislazione: nei certificati antimafia si valutano tutti i possibili rapporti con le cosche, ma la corruzione non conta. Persino aziende di imprenditori condannati per tangenti possono partecipare alle gare pubbliche. Pure la Italrecuperi ha avuto qualche problema. Nel giugno dello scorso anno il titolare Claudio Moccia è finito sotto la lente degli inquirenti della procura di Napoli e del Corpo forestale per un presunto traffico organizzato di rifiuti. La stessa ditta era stata coinvolta nell’inchiesta sulla mancata bonifica di Bagnoli, ma il giudice ha deciso di archiviare le accuse per prescrizione del reato. «Ho fatto tutto secondo la legge» spiega Moccia a “l’Espresso”, che sull’altra istruttoria aggiunge: «L’anno scorso ci fu una perquisizione, ma non so nulla di più».
OMBRE LUCANE
Il triangolo della morte tra le province di Napoli e Caserta è costellato di discariche nocive, che lo Stato si è impegnato a disinnescare. Ma anche il progetto preliminare per sistemare il sito di Masseria del Pozzo, sempre nella zona della Resit, presenta qualche intoppo. Perché c’erano troppe cose che non funzionavano. «In questo caso ho predisposto tre pagine di prescrizioni che le imprese devono rispettare», spiega il commissario De Biase. Un’altra opera in attesa. Se l’erano aggiudicata due società: la Trs servizi ambiente srl e la Semataf srl.
“L’Espresso” ha scoperto che quest’ultima è di proprietà di una srl, la Fincast, amministrata da Giovanni Castellano, patron dell’omonimo gruppo. Castellano due anni fa è finito in carcere per la gestione della discarica comunale di Salandra, in provincia di Matera. I pm lucani hanno chiesto per lui e per altre undici persone il processo con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e alla truffa. Pure in questo caso, il procedimento penale non ha impedito che ottenessero gli appalti.
NUOVE OPERE E VECCHIE CONOSCENZE
La grande opera delle bonifiche rappresenta l’opportunità di riscatto per un’intera comunità, che per decenni ha subìto lo strapotere di imprenditori senza scrupoli, politici conniventi e camorra. Solo la Regione Campania ha stanziato quasi 300 milioni di euro. E il governo con il decreto Terra dei Fuochi ha previsto circa 25 milioni nel 2014, che però tardano ad arrivare. Il controllo criminale degli invasi è stato possibile anche per la mancanza di un ciclo di gestione dei rifiuti urbani. Per cambiare rotta finalmente si stanno costruendo i primi impianti di trattamento. Ma le gare, anche in questo caso, procedono a rilento. La Regione infatti non ha ancora completato la procedura di valutazione di impatto ambientale. Un impianto sorgerà a Giugliano a pochi chilometri dai veleni della Resit. A costruirlo sarà la De Vizia Transfer spa. Che non è immune da problemi giudiziari: Emilio De Vizia è stato condannato in primo grado a sei mesi per omissioni di atti di ufficio in una vicenda legata alla messa in sicurezza di una discarica in provincia di Avellino. «Ho fatto ricorso in appello» spiega De Vizia «e dimostrerò la mia estraneità rispetto all’accusa. Abbiamo sempre agito correttamente, vantiamo una storia decennale e diamo lavoro ad oltre duemila persone». In un’altra vicenda, invece, sono indagati dalla procura di Latina gli altri vertici della spa Vincenzo e Nicola De Vizia: al centro ci sono presunte irregolarità nella gestione dell’appalto di igiene urbana nell’isola di Ponza. Scorrendo la lista delle aziende che hanno vinto i lavori ne spunta un’altra finita nel mirino degli investigatori: la Hge Ambiente srl. Il titolare della società è sotto inchiesta per la mancata bonifica della fabbrica Isochimica di Avellino, insieme ad altre 28 persone. Non è certo un buon inizio per far ripartire la Campania.
I ROGHI NON SI FERMANO
Intanto la Terra dei Fuochi continua a chiedere giustizia. Lo Stato aveva promesso il presidio dell’Esercito per impedire nuovi incendi. Ma, come sottolinea don Patriciello, la presenza dei militari si è ridotta a poche pattuglie. Mancano anche le risposte sul fronte sanitario. «Siamo costretti a portare i nostri familiari negli ospedali del Nord meglio attrezzati, emigriamo con il nostro dolore», raccontano le madri di questa landa contaminata. Mariangela è un’insegnante: ha perso il figlio quindicenne per un tumore raro. «Quando ha scoperto la malattia» ricorda «aveva deciso di fare il medico. È rimasto un sogno. Ci hanno abbandonato, con queste discariche a cielo aperto e con i roghi che continuano a telecamere ormai spente». E ciascuno al dolore reagisce come può. Così la signora Mariangela ha deciso di fondare un’associazione in memoria del figlio Luca.
L’inferno, se esiste, è nel chilometro di strada che taglia in due la campagna di Giugliano, paesone del Napoletano al confine con la provincia di Caserta. Il girone dei dannati da queste parti è un campo Rom dove vivono ammassati 800 nomadi. Molti sono bambini. Sorridono mentre saltellano scalzi sulla spazzatura. I topi sono ovunque, si infilano nell’ammasso disordinato di sacchi neri colmi di rifiuti. Le roulotte si trovano a pochi metri dalle discariche della camorra. «Una sistemazione temporanea», spiega un tecnico del comune. Intanto però è passato più di un anno. E i bimbi continuano a giocare tra le cave zeppe di veleni del clan dei casalesi.
«Abbiamo foto di ragazzini Rom che giocano in cima alla discarica», denuncia Lucia De Cicco. Eppure sono questi stessi ragazzi a fare da manovalanza per la camorra imprenditrice, che continua a bruciare qui gli scarti di decine di fabbriche semiclandestine. «A volte ci pagano fino a 50 euro per ogni rogo», spiega uno dei giovani Rom. La cupola dei casalesi è stata smantellata, i padrini sono tutti in cella, ma lo Stato si dimostra incapace di riprendere il controllo del territorio.
Aggiornamento del 15 dicembre 2014, ore 12,29: Treerre